Nel 1945 mio padre Giulio lasciava Capri per Positano. Già nel dopoguerra si intuiva che Capri si stava muovendo verso un turismo sempre più veloce e distratto, e da qui varie defezioni e fughe verso posti diversi, meno sradicati e più autentici.
Come cambia un posto e perché si fugge da questo? Fino ad un certo punto chi è in visita si adatta al luogo che raggiunge, da un certo punto in poi, invece, la cosa cambia e gli abitanti devono in qualche modo adattarsi ad una città o ad un paese che funziona principalmente per chi viene da fuori. La trasformazione si manifesta immediatamente nella ristorazione, con un aumento di fast-food, e l’apparizione di strani ibridi gastronomici (un tipico segnale di allarme è ad esempio l’apparire deli “spagheti bolognaise”) segni che una persona stanziale o semi-stanziale cerca di ignorare, ma alla fine inutilmente, perché la direzione e ormai tracciata e prima o poi, potendo, scapperà.
Un paese con vocazione esclusivamente turistica diventa un villaggio turistico dove le attività produttive scompaiono insieme a tutta una serie di attività che hanno, in tale ambiente, poca ragione di esistere, impossibilitate da una stagionalità estrema e anche da valori immobiliari che le rendono non sostenibili. E questo non riguarda solo i piccoli centri, provate per esempio a trovare un ciabattino a Roma. Quindi, settanta anni dopo la fuga di mio padre da Capri, per motivi analoghi, avviene la mia da Positano verso Salina. Questa volta è una migrazione con un risvolto produttivo, perché do vita con Antonio, agricoltore a Malfa, ad una piccola azienda agricola e sono ora sul procinto, spero, di contribuire alla partenza di una cooperativa agricola nel comune di Leni.
Quello che dà un valore aggiunto, non solo per chi visita l’isola ma per chi vive su questa isola, è soprattutto l’aspetto produttivo, l’esistenza di un settore agricolo forte, non industrializzato, in grande parte a gestione familiare. Penso che ci sia anche una nuova generazione diversa dalla nostra (io sono nato nel 1958). I nati sessanta anni fa, come me, sono stati in qualche modo travolti da uno “sviluppo” (e qui le virgolette sono d’obbligo) che non abbiamo interrogato, e in questa grande e virulenta trasformazione, così come sono scomparse le botteghe artigiane con l’avvento della grande distribuzione, pure i viaggiatori sono quasi spariti, travolti dall’ industria del viaggio (“the travel industry“ si chiama proprio così), trasformati in turisti. La nuova generazione qualche domanda inizia invece a farsela e la metamorfosi da artigiani o agricoltori in venditori di cartoline non viene vista più necessariamente come uno “sviluppo” positivo, mentre l’agricoltura, l’artigianato e la cultura tornano ad avere un’attrazione che sembrava scomparsa nel gorgo dell’industria e del commercio.
Sull’ isola, anche grazie alla nuova generazione, c’è attenzione verso una vita produttiva e sostenibile, c’è una palpabile voglia di superare la mondializzazione dell’indifferenza. C’è interesse verso il kilometro zero e la produzione sostenibile. Ci sono anche i pescatori che si riuniscono in una associazione di pesca sostenibile che con un po’ di fortuna porterà alla realizzazione di un parco marino protetto. Ci sono varie associazioni – come Blue Marine, Marevivo e Aeolian Islands Preservation Fund – che operano portando temi importanti all’attenzione degli abitanti e dei visitatori. L’associazione Didime organizza eventi culturali di rilievo, guidata da Clara che è anche sindaco e fondatrice dell’Hotel Signum.
Qui a Malfa, dove vivo, per merito di una imprenditoria intelligente radicata sul territorio, imprenditoria che ha compreso l’indesiderabilità del visitatore acritico – che oggi comprende anche la stragrande maggioranza di diportisti – ma anche per una “fortunosa” difficoltà geografica nel raggiungere il territorio, in qualche modo ostacolo naturale per quella deportazione semi-volontaria che è il turismo di massa, vedo una situazione assai diversa da quella che ha portato a due fughe in due generazioni nella mia famiglia.
Quindi arrivo qui a Salina con l’ottimismo della volontà, confidando di non tornare però al punto di partenza, che poi è solo un continuo punto fuga.
Nato a Positano, laureato in Filosofia a Urbino, specializzato in Scienze del comportamento alla London School of Economics; fondatore della catena di pizzerie inglesi “Franco Manca” e del rinomato members’ club londinese Blacks.